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Il calvario dimenticato dei Polacchi in Persia [ di Alberto Rosselli ]

Alla periferia di Teheran, capitale della Persia, c’è un cimitero cattolico. Vi sono sepolti 1892 polacchi: donne, vecchi, bambini. Erano stati deportati dall’Armata Rossa dai territori orientali della Polonia, invasi e occupati nel settembre 1939, e trasferiti in vari gulag in Ucraina e Bielorussia. Poi, dopo l’assalto tedesco alla Russia del 21 giugno 1941, e prima che arrivassero le armate di Hitler, che sicuramente non li avrebbero liberati, ma se ne sarebbero serviti come forza di lavoro a costo zero, erano stati sottoposti ad un nuovo trasloco forzato. Destinazione: la confinante, e neutrale, Persia, che era stata occupata al Nord dall’Armata Rossa e al Sud dalle forze britanniche. Il trasferimento di quella ingente popolazione (si calcolano non meno di 250 mila persone) avvenne in condizioni bestiali, tutti stipati su interminabili convogli ferroviari che impiegavano settimane, e anche mesi, per giungere a destinazione, senza acqua, senza cibo, senza servizi igienici, senza coperte per ripararsi dal freddo. Tra il luglio e il dicembre 1941, i polacchi trasferiti in Persia furono più di 250 mila. La loro tragedia è stata ricostruita, agli inizi del secolo, dal giornalista dell’Associated Press Anwar Faruqi, che ha rintracciato ed intervistato alcuni superstiti di quel lontano esodo. Ai suoi réportage si è rifatto il saggista e ricercatore storico Alberto Rosselli, che ha dedicato a quel drammatico evento uno dei più suggestivi capitoli del suo saggio “Storie segrete. Operazioni sconosciute o dimenticate della Seconda Guerra Mondiale”, Gianni Juculano editore, libro dedicato alla memoria di Fabrizio Quattrocchi, il volontario italiano rapito e ucciso in Iraq dopo avere esclamato «Vedrete come muore un italiano!».
Come racconta Rosselli, i prigionieri provenivano da campi di concentramento russi tristemente celebri come Vorkuta, Kolyma e Novosibirsk, dove avevano lavorato come schiavi nelle miniere.

L'arrivo dei sopravvissuti
Dopo l’arrivo, tra quanti erano scampati al viaggio massacrante, i maschi giovani e in buone condizioni di salute furono avviati ai campi di addestramento dove si stava formando il 2° Corpo d’Armata al comando del generale Wladislaw Anders, che avrebbe poi partecipato alla liberazione dell’Italia. Tutti gli altri vennero trasferiti a Teheran e Isfahan, dove furono accolti con affetto e umanità dalla popolazione locale. Della marea di profughi facevano parte ben 13 mila bambini rimasti orfani. Grazie all’intervento degli inglesi che, assieme ai russi, avevano occupato la Persia, fu creato ad Ahvaz, nell’Iran sudoccidentale, il «Campo Polonia», una struttura ben diversa dai gulag sovietici realizzati nel Nord del Paese: comode baracche con servizi, mense, ospedali da campo, scuole, orfanotrofi. A Nord, invece, e per precise direttive impartite da Stalin, i baraccamenti erano circondati da filo spinato, il cibo era carente, l’assistenza medica inesistente, le angherie verso i polacchi continue e umilianti. I campi erano situati presso Teheran e Tabriz. Stalin aveva ordinato la formazione di una fasulla ed artificiale «Unione dei patrioti polacchi» e, contemporaneamente, il blocco di ogni ulteriore arruolamento nell’Armata polacca di Anders. Poi, il 16 gennaio 1943, aveva fatto emanare una legge in base alla quale tutti i polacchi presenti in territorio russo e oriundi delle province occupate dall’Armata rossa, in seguito all’invasione del 17 settembre 1939, venivano considerati sudditi sovietici. Fu un colpo durissimo. Migliaia di parenti e amici dei soldati dell’Armata Polacca in Oriente erano stati condannati ad una triste sorte. L’odio dei soldati polacchi nei confronti del comunismo divenne totale. I sentimenti di esasperazione e di rabbia dei soldati che si apprestavano a sacrificare le loro vite per la causa di una coalizione di cui faceva parte anche la Russia, furono messi nero su bianco in una lettera che il generale Anders inviò al generale Sikorski, premier polacco in esilio a Londra. Vi si leggeva:
"In questo quarto anno di guerra sentiamo che la Germania, il nostro eterno nemico, sarà sconfitta, ma i nostri cuori sono tuttora pieni di ansia perché sentiamo che la vittoria della Russia bolscevica si tradurrà in un pericolo mortale per la Polonia. Essi vogliono annettersi metà della nostra patria. Dobbiamo dichiararlo al mondo intero, e denunciare senza mezzi termini che cosa la Polonia ed anche l’intera Europa debbono attendersi nell’eventualità di una marcia vittoriosa dell’Urss verso Occidente".
Soltanto alla fine del secondo conflitto mondiale i superstiti potranno rientrare in Polonia, una Polonia devastata dalla guerra, dall’occupazione nazista e ormai sottomessa all’Urss.

di Luciano Garibaldi


Articolo inviato da Alberto Rosselli, giornalista e già pubblicato sul "Secolo D'Italia" di domenica, 3 giugno 2012
Documento inserito il: 30/12/2014
  • TAG: polacchi persia, seconda guerra mondiale, cimitero cattolico, teheran, deportazione, armata rossa, operazione barbarossa, spartizione polonia, accordo ribbentrop molotov, condizioni estreme, fame, morte

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