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Pagine d'eroismo della Campagna di Russia [ di Paolo Piovaticci ]

Legionario della Tagliamento antepone il soccorso medico a un camerata ferito a se' in fin di vita.

'Cantava per non gemere
', sottotitola l'autore del libro 'Nel nostro Cimitero di guerra di Mikailovka', il Cappellano don Guglielmo Biasutti, nel Capitolo II (Dallo schieramento sul Dnieper ai capisaldi di Natale, 9 Settembre - 7 Dicembre 1941), questo ricordo indelebile di sublime altruismo e di attaccamento al Reparto.
"Uno dei feriti aveva nome Sbaiz Francesco, che noi amici chiamavamo comunemente "Franz". Ed ecco il racconto della sua passione, come lo scrissi poco dopo, con i particolari ancor vivi nella memoria.
Sbaiz Francesco non faceva un lamento. Quando lo avvicinai per dirgli una parola di conforto, mi rispose: 'Vedete di lui, signor cappellano - ed accennava al compagno; egli soffre più di me.
Uno dei legionari presenti mi chiamo fuori e mi disse: 'Signor Cappellano, fate attenzione allo Sbaiz che dev'essere molto grave, perché a volte delira. Infatti di notte di tanto in tanto si sente cantare..'.
Ritornato nel buco, mentre il dottore dava le disposizioni per il trasporto al posto di medicazione, m'accoccolai tra i due feriti per rivolgere or all’uno or all’altro una carezza od una parola. Ed ecco sentii anch’io lo Sbaiz canticchiare. Mi chinai su di lui; aveva gli occhi chiusi ed i denti serrati e il viso gli si contraeva come per una morsa di spasimo.
Tra le labbra violacee usciva una lenta nenia, mentre il corpo aveva a tratti dei brividi e dei sussulti.
Allora capii perché cantasse cosi. Non delirava, no.
Aspettai che si quietasse e poi lo chiamai:
'Franz!'
Aprì subito gli occhi e mi guardò.
'Soffri molto'? - gli chiesi.
'Oh riesco a tener duro, signor Cappellano - rispose – Non preoccupatevi per me. Confortate Alcide...
Avevo capito bene. Non delirava! Canticchiava così quando il dolore si faceva violento e allora l’urlo, che gli sarebbe scoppiato dal petto, dominato dalla sua potente volontà, si trasformava in canto.
Cantava per non urlare, per non gemere: sfogava il dolore nel canto...
Lo Sbaiz era ferito a tutte due le gambe: aveva però una scheggia anche nell’addome. Pensammo, perciò, di barellare lui per primo. Ma non ci fu possibile. Tanto egli protestò ed insistette af fnché ci occupassimo anzitutto del compagno, che dovemmo accontentarlo. La stessa gara eroica ed affettuosa di cedere il primo posto all’amico, si ripeté al momento della medicazione, ma stavolta il medico s’impose.
Mentre il dottore gli estraeva le schegge e gli drenava le ferite con spietata saggezza, irrorando la carne viva d’abbondante tintura d'iodio e ficcando la garza fuor per fuori nelle membra lacerate, lo Sbaiz ripeté di quando in quando il suo cantilenare, ma non un lamento gli sfuggì.
Diceva solo:
'Mi dispiace di dovermene andare dalla linea cosi presto, senza aver fatto nulla.'
(Poiché era quello soltanto il secondo giorno del nostro schieramento sulla linea del fuoco).
Noi gli dicevamo - Ma tu hai fatto tutto quel che hai potuto fare e che t’e stato comandato. Non angustiarti, dunque.
E lui: - E' un conforto piuttosto magro. In realtà non ho fatto nulla; e già me ne vado via, mentre voi restate qui a combattere.
Arrivò l'autoambulanza. Mentre lo caricavamo e gli dicevamo addio, egli continuava a dire: Compagni, mi dispiace di lasciarvi, mi dispiace di lasciarvi. Non la ferita, ma il distacco dai camerati ed il forzato abbandono del combattimento gli mettevano negli occhi le prime lacrime.
All’ospedale da campo quanti l’avvicinarono furono testimoni, per i cinque giorni che sopravisse, della sua meravigliosa forza d’animo e del suo insuperabile attaccamento al reparto.
Come stanno i compagni? Che cosa fa il battaglione? L’avete dura laggiù?...
Cosi domandava a quelli dei nostri che poterono visitarlo. Poi pregava cosi i medici:
Guaritemi presto! Voglio ritornare al mio battaglione, voglio tornare tra i miei compagni.
E quando le fiamme violente della febbre ebbero bruciato tutto il mondo della coscienza, disopra gli abissi del delirio un'idea brillava ancora come stella, una voce ancor suonava con un'insistenza tragicamemte solenne.
'Voglio tornare al battaglione. Lasciatemi tornare al battaglione.'
E tentava di sollevarsi dal letto per andarsene in linea, moribondo, indomato, che solo a fatica poterono trattenerlo gli infermieri.
Solo la morte riuscì a spegnerne e la sublime volontà, e ad inchiodarne le membra generose nell’estrema quiete.

Frammenti di storia come questo, che don Guglielmo Biasutti ci ha fatto di conoscere nei suoi racconti di guerra vissuta, ci parlano, oggi più opportunamente che mai, della grandezza d'animo dei Legionari di allora, italiani 'veri' che cadevano sprezzando il dolore e la morte per la Patria. Che come il nostro 'Franz', ci lasciano un messaggio di fede , di altruismo, di attaccamento al reparto.
Egli infatti, bisognoso di immediato intervento medico, volle far soccorrere prima di lui, dai medici, un altro camerata gravemente ferito, e poi, morente, altro non implorava che di tornare al suo battaglione, al fronte, a stare tra i suoi compagni!


P.P. (da 'Nel nostro Cimitero di guerra di Mikailovka', del Cappellano don Guglielmo Biasutti)
Documento inserito il: 28/12/2014
  • TAG: legione tagliamento, milizia volontaria sicurezza nazionale, campagna russia, pagine eroiche, camicie nere, legionari, seconda guerra mondiale

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