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Il Comandante Diavolo [ di Giovanni Caprara ]

Quando un esercito è veramente sconfitto? Quando una nazione in guerra intuisce di essere vicina alla capitolazione? Forse solo quando l’ultimo dei suoi comandanti si arrende.
L’aprile del 1941 segnò un momento tremendo per le ambizioni colonialistiche italiane: in Africa Orientale pareva prossimo il punto del non ritorno, quella soglia evanescente ed impalpabile che separava di un nonnulla lo sgretolamento di un ideale dal perseverare di un sogno.
Le truppe inglesi entrarono in Asmara, con l’Esercito Italiano oramai alla disperazione, incapace di resistere o di tentare un contrattacco. I soldati in prima linea erano allo sbando senza più la necessaria coordinazione nei movimenti sul campo. Si era verificato l’evento più funesto, la rottura della linea di comando.
In queste occasioni, nell’animo di un soldato si avvicendano incontrollati un turbinio di sensazioni, un tumulto di immagini; lo sprezzo del pericolo, l’istinto di conservazione, il desiderio di rivalsa, l’insano desiderio di vendetta, l’orgoglio di un patriota e la voglia di tornare a casa.
Nel preciso momento in cui la disfatta è dichiarata e le speranze sono finite, un soldato o si arrende oppure dà vita ad un eroe.
Il Diritto Internazionale recita un ossessivo ordine, quello di cessare ogni azione ostile dopo la resa. Ma la mente di un eroe non accetta imposizioni, anzi coglie negli obblighi occasioni per sferrare la rivalsa, per affermare la propria volontà.
Il Tenente Amedeo Guillet lo percepì come l’occasione ideale per applicare una strategia efficace, sfiancare il nemico con il preciso intento di dimostrare che gli italiani non erano ancora finiti. Creare il terrore per provocare la reazione e combatterla spietatamente con altro terrore. La finalità era lasciare il campo a testa alta. Smise l’uniforme a favore del turbante ed abiti tipicamente indigeni, favorito dai tratti somatici spiccatamente mediterranei e profondo conoscitore della lingua e dei costumi locali, prese il nome di Ahmed Abdallah al Redai. Si pose al comando di un centinaio di indigeni a cavallo e diede inizio sia alla sua guerra personale che al mito del “Comandante Diavolo”.
Il suo ordine fu di combattere il più possibile, al fine di impegnare gli inglesi in Eritrea in tal modo da ritardare il loro trasferimento sul fronte libico a rinforzo delle truppe impegnate contro gli italiani. Il suo motto divenne: “combattere fino all’ultimo uomo”.
Nel 1939 il giovane Tenente Guillet riuscì a costringere il nemico in uno scontro frontale in campo aperto. Il suo cavallo venne colpito, ma non si arrestò di fronte questo evento. Ne ebbe un altro dal suo attendente e guidò una nuova carica. Ancora una volta la sua cavalcatura cadde sotto i colpi degli avversari ma indomito si pose al comando di una mitragliatrice e con essa mise in fuga gli ultimi nemici. I soldati indigeni di cui era al comando, primo esempio di forza multinazionale, ipotizzarono che godesse di una forma di immortalità, la quale, assommata al suo atteggiamento democratico verso i suoi uomini, contribuì ad una sorta di alone di rispetto che produsse un risultato unico: non si registrò mai alcuna defezione nelle fila dei soldati ai suoi ordini. Prima di concedersi ad azioni coperte, l’ultimo ordine impartitogli lo eseguì a suo modo. Per facilitare la ritirata delle truppe italiane gli venne comandato di rallentare l’avanzata inglese. In testa ai suoi cavalleggeri si lanciò contro i mezzi corazzati avversari, attraversando spavaldamente la fanteria inglese che precedeva la colonna dei carri armati. Come aveva presupposto, l’artiglieria non aprì il fuoco temendo di colpire i propri fanti e per sei ore impegnò la compagine inglese gettandola nella confusione più completa. Diecimila italiani riuscirono a rifugiarsi sulle montagne, traghettando Guillet verso la storia.
L’ardita azione, gli fece guadagnare il rispetto degli eritrei, ma soprattutto ne impedì qualsiasi tentativo di tradimento.
Fu proprio la notizia della caduta di Asmara a persuadere Guillet che l’unica tattica da adottare consisteva nel bloccare il più a lungo possibile in Eritrea le unità inglesi. Dopo la resa ordinata da Roma, Ahmed iniziò a vivere nella comunità mussulmana, identificandola come il miglior nascondiglio di cui potesse sperare. Con il passare dei giorni, non sembrò essere ne un italiano, ne un soldato e tanto meno un cattolico. Solo un guerrigliero. Per otto mesi, sabotò ferrovie, tagliò linee telefoniche, fece saltare ponti e saccheggiò depositi militari in una lotta senza quartiere, ma soprattutto senza lasciare tracce, tant’è che gli inglesi volsero la loro attenzione verso i fuorilegge locali.
L’Intelligence britannica, a seguito di minuziose indagini, intuì nel responsabile delle azioni di commando il Tenente Guillet, sulle sue gesta venne imposto il Top Secret ed una cospicua taglia. Una gigantesca caccia all’uomo prese vita per afferrare un solo uomo, oramai non più protetto dalle leggi internazionali e passibile dunque, di fucilazione senza alcun processo.
Ma Ahmed non fermò le sue incursioni, anzi si prese gioco del nemico fornendo false informazioni ai servizi segreti. Il capolavoro assoluto fu quello di intascare la taglia posta sulla sua testa presentandosi sotto mentite spoglie e denunciando se stesso.
Gli inglesi per lunghi mesi brancolarono nel buio più assoluto.
I nemici riuscirono a scoprire l’alloggio di Guillet, ed in una perfetta operazione militare circondarono l’edificio, ma durante l’accerchiamento, Ahmed, non visto dai militari britannici, saltò da una finestra e sfidando le pallottole riuscì a dileguarsi. La perfetta conoscenza delle tradizioni, dei costumi e della religione, probabilmente in questa azione valsero la sua salvezza, ma in alcune circostanze anche l’audacia si piega alla fortuna: avvolto nelle vesti indigene, con l’usuale passo lento dei locali e con il determinante aiuto di un suo fedelissimo, il quale convinse gli inglesi che fosse un mussulmano sordo diretto alla sommità della collina antistante il luogo dell’agguato per pregare, riuscì ad allontanarsi indenne dal teatro della battaglia.
Il Comandante Diavolo ammise che oramai era stato scoperto e pertanto iniziò a valutare la necessità di allontanarsi. Le vecchie ferite di guerra e la malaria decisero per lui. La ritirata iniziò dal Mar Rosso. Tentò di attraversarlo a bordo di un sambuco ma venne depredato e buttato in mare. Toccò terra in Eritrea, ma qui fu oggetto di percosse da parte di alcuni pastori nomadi. Ancora una volta, la buona sorte accorse in aiuto dell’italiano, un cammelliere intervenne a suo favore e lo accolse nella sua capanna. Questa circostanza gli fece balenare un’idea: si spacciò come parente del suo salvatore e con un lasciapassare degli stessi inglesi, si rifugiò in Yemen. Qui, accompagnato da un suo soldato, provò a mantenere un basso profilo sino a quando, non potendo del tutto celare i suoi modi raffinati, gli yemeniti lo incarcerarono con l’accusa di essere una spia inglese. Di questo il servizio segreto ne venne a parte, ma commisero il banale errore di chiederne l’estradizione. Ciò indusse il sovrano yemenita a concedere udienza a quel misterioso prigioniero. Guillet narrò la sua storia ed il Re ne rimase profondamente scosso al punto che gli concesse una casa ed uno stipendio da Colonnello.
Nel giugno del 1943, gli inglesi autorizzarono la partenza di una nave italiana, protetta dalla Croce Rossa, a favore di tutti coloro che erano desiderosi di rientrare. Se l’aver riscosso la taglia posta su se stesso era paragonabile ad un capolavoro, l’ultima azione fu strabiliante: aiutato dal sovrano riuscì ad imbarcarsi furtivamente proprio su quella nave. Temerariamente aveva deciso ancora una volta di entrare nella tana del lupo. Scelse la zona dove erano ricoverati i malati mentali, qui riuscì a fingersi pazzo per l’intero viaggio. Nelle ombre buie del manicomio diventò anch’esso una ombra dai contorni indistinti.
Il 2 settembre 1943, il Tenente Guillet sbarcò in patria con l’autorizzazione dei suoi ignari aguzzini.
L’ultima beffarda ed irriverente vittoria del leggendario Comandante Diavolo.
Documento inserito il: 29/12/2014
  • TAG: seconda guerra mondiale, fronte africa orientale, tenente amedeo guillet, comandante diavolo, strategia, guerriglia, peripezie

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