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La Strafexpedition sull’Altopiano di Asiago [ di Alessandro Gualtieri ]

Conosciuta dalla storiografia italiana con il nome di Battaglia degli Altipiani, questa offensiva austro-ungarica fu voluta per punire il tradimento italiano alla Triplice Alleanza.
Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, il 24 Maggio 1915, sussistevano infatti accordi diplomatici ufficiali, che siglavano l’alleanza Italo-Austro-Tedesca, in caso di offesa ricevuta da altre nazioni
. L’Italia, che per un anno dall’inizio del Primo Conflitto Mondiale, si era mantenuta neutrale, barattò la sua estraneità al conflitto con il miglior offerente, in questo caso l’Intesa anglo-francese. Le lusinghe, le promesse territoriali e perfino le offerte di denaro con cui Austria e Germania cercarono di garantirsi la nostra neutralità fino al termine del conflitto a nulla servirono: il governo del primo ministro Salandra decise di concretizzare lo spirito interventista, nello scriteriato inseguimento di quell’Italia Irredenta promessaci dall’Intesa.
Dopo circa un anno di guerra, sanguinosa, onerosa e completamente nuova anche alle nostre gerarchie di comando politico e militare, la presunta, rapida risoluzione delle ostilità a nostro favore svanì quasi completamente. Anche sull’Isonzo e nel Trentino la nuova alleata dell’Intesa si era scontrata con la dura realtà della guerra di materiali e di posizione, tanto logorante quanto priva di sbocchi e soluzioni risolutive.
Quando il Generale Cadorna fu messo alla guida dell’esercito italiano nel luglio 1914, in seguito alla scomparsa del Generale Alberto Pollio, lo stesso, intero strumento offensivo bellico del nostro Paese non era certo in grado di affrontare alcun tipo di conflitto, specie se lungo e oneroso in termini di risorse tecniche, logistiche e umane.
A Cadorna va quindi subito riconosciuto il merito di essersi proverbialmente rimboccato le maniche e di aver creato e plasmato dal nulla la macchina da guerra dello stellone d’Italia”, con la quale ci saremmo presentati al tragico appuntamento del 24 maggio 1915.
Se è vero che al Regno Unito e alla Francia ci volle tutto il 1914 ed il 1915 per iniziare semplicemente a capire che di tutto un altro genere di conflitto si trattava, rispetto al precedente standard dettato dalle campagne napoleoniche, Cadorna imbracciò le armi con un netto vantaggio.
Purtroppo questo vantaggio non fu assolutamente tradotto in una reale marcia in più dal nuovo Capo di Stato Maggiore italiano: egli si dimostrò totalmente cieco davanti ai due anni di sconvolgimenti strategici ai quali la fine della guerra di movimento costrinse tutti i belligeranti.
Seguendo l’eredità strategica di Napoleone Bonaparte, Cadorna si gettò nella mischia, oltrepassando il confine dell’Impero Austro-Ungarico sull’Isonzo, indicato appunto, quasi un secolo prima, come unico teatro di guerra in grado di offrire una concreta e veloce risoluzione del conflitto a favore dell’Italia.
Ma Napoleone aveva posto come condizione a questa facile vittoria, la certezza di non temere alcun tipo di attacco dalla fronte Trentina, pertanto di assicurarsi che questa linea di confine fosse protetta ed oltremodo invalicabile dal nemico. I fatti gli diedero pienamente ragione, proprio perchè Cadorna, dimentico di questa importante condizione sine qua non e impegnato a dar spallate sull’Isonzo, si vide piombare in casa gli Austriaci, durante la Spedizione Punitiva o Strafexpedition del maggio-giugno 1916, altresì conosciuta come la Battaglia degli Altopiani.
Quando nel pomeriggio del 14 maggio 1916, un fuoco d’artiglieria, mai visto prima, si scatenò sulle posizioni italiane, e al mattino del 15 il XX corpo austro-ungarico mosse all’attacco, le prime rapide conquiste fecero temere e presagire un travolgente successo del nemico.
Complessivamente, venivano impiegate dagli Austro-Ungarici, 14 divisioni, sostenute da circa 60 batterie pesanti, appoggiate da quelle dei molti forti disseminati sulla linea di confine, che nel tratto Lavarone-Folgaria erano le più vicine agli sbocchi in pianura e che, quindi, più che ad un compito difensivo apparivano destinate a costituire una testa di ponte protesa verso il cuore del Veneto.
Partendo dalla zona del campo trincerato di Trento, il nemico aveva sfruttato intensamente le linee ferroviarie del Brennero e della Pusteria per far affluire, nei mesi precedenti, notevoli quantità di truppe e materiali , utilizzando un abile e meticoloso lavoro di mimetizzazione che ingannò completamente il nostro Servizio Informazioni (gli attuali servizi segreti).
L’offensiva avrebbe dovuto iniziare nella prima decade di Aprile, ma le avverse condizioni atmosferiche ne procrastinarono la concretizzazione fino alla metà del mese successivo. È interessante, a questo punto, sottolineare che il nostro Servizio Informazioni riuscì effettivamente ad aver sentore di qualcosa di grosso in preparazione, proprio in questi ultimi giorni di ritardo, rispetto alla data iniziale fissata dagli Austriaci. Ma proprio in questa occasione il nostro Cadorna fece lo stesso errore strategico che poi ripetè, con più gravi conseguenze, un anno dopo a Caporetto: non volle cioè credere nel modo più assoluto nelle reali capacità di offesa Austriaca su larga scala. Il nostro Capo di Stato Maggiore fallì dunque nel preparare una concreta linea di difesa, nonchè una buona riserva di truppe, con cui contrastare quella che venne creduta, erroneamente, una modesta e limitata azione diversiva del nemico.
Ricordo che Cadorna si era sempre prefisso di sfondare il confine sulla Fronte Giulia, per raggiungere Trieste e poi, addirittura, Vienna – come dicevo poc’anzi, gli sfuggì completamente l’importanza strategica della spina nel fianco Trentina.
Il 22 marzo la I Armata Italiana, comandata dal Generale Roberto Brusati, aveva in qualche modo lanciato un grido di allarme. Ma Cadorna, che in quel periodo di trovava a Londra, si limitò a ribadire le direttive emanate in precedenza: difesa e resistenza ad oltranza sulle stesse posizioni troppo avanzate e difficilmente difendibili, che risalivano all’inizio del conflitto.
Il Generale Brusati, a sua volta, cadde nello stesso tranello che, sempre un anno dopo, avrebbe rovinato per sempre un altro famoso Generale italiano: Luigi Capello. In buona sostanza, l’ermeticità dei comandi e delle direttive emanate dal nostro Stato Maggiore, indusse il comandante della Prima Armata a mal interpretare quale fosse in effetti la linea di difesa ad oltranza: pertanto, l’intera armata si trovò schierata praticamente a ridosso dei punti di attacco avversari, senza poter contare sulla propria artiglieria di sbarramento e interdizione, e abbandonata così a sè stessa sotto l’inferno di fuoco nemico.
Il Comando Supremo intendeva quella cosiddetta linea dei capisaldi che, in pratica, si svolgeva lungo il Coni Zugna, Col Santo, Monte Maggio, Spitz Tonezza, Monte Campolungo, Verena, Cima Portule, Cima della Caldera. Una linea ben determinata sul terreno, che se convenientemente rafforzata e presidiata avrebbe rappresentato una barriera difficilmente superabile, tanto più che si svolgeva, in gran parte, oltre la gittata utile dell’imponente schieramento delle artiglierie avversarie.
Era però differente il posizionamento della I Armata, che fin dall’inizio delle ostilità aveva tenuto un comportamento più aggressivo che difensivo e, sul lato occidentale dal saliente trentino, dal confine svizzero al lago di Garda, aveva spinto il III corpo all’occupazione di tutti i valichi alpini (ad eccezione del passo dello Stelvio) e, sul lato orientale, aveva fatto occupare dal V corpo posizioni di alto valore difensivo, come l’Altissimo, il Pasubio, il Col Santo e, in Val Sugana, Ospedaletto.
Il fronte risultava dunque accorciato da 380 km. a 213, una metà del quale su zone militarmente impervie. Poco prima dell’inizio della Strafexpedition, per motivi di orgoglio nazionalistico e di immagine politica, sarebbe stato impossibile effettuare una ritirata strategica o almeno concretizzare una difesa elastica alla tedesca: pertanto ogni metro di terreno conquistato si sarebbe dovuto difendere fino alla morte. Nemmeno quando un ufficiale cecoslovacco disertore passò le linee il 26 aprile e rivelò mezzi e intenzioni del nemico, il nostro comando accettò di rivedere la disposizione delle proprie truppe.
Proprio in quell’occasione si apprese il nome di Strafexpedition, spedizione punitiva, prescelto da Conrad von Hotzendorf, il Capo di Stato Maggiore nemico, per l’imminente offensiva.
L’attacco colse allora le truppe italiane, fanterie ed artiglierie, troppo proiettate verso posizioni estremamente avanzate. L’intera massa di uomini dislocati a difesa del fronte continuò coraggiosamente e selvaggiamente a riconquistare qualsiasi posizione persa, fino a quando, abbruttiti e devastati dalla violenza degli attacchi, gli italiani dovettero necessariamente iniziare la ritirata.
La Prima Armata si trovò ben presto senza riserve, e le poche racimolate in gran fretta dal Comando Supremo, vennero semplicemente gettate e sprecate nel calderone delle prime linee, nel tentativo di richiudere piccole falle localizzate, senza alcuna omogeneità strategica. In Val Sugana, di fronte al XVII corpo austriaco, gli italiani si arroccarono sulla linea principale di resistenza, nei pressi di Ospedaletto, e respinsero ogni ulteriore attacco. In Val Lagarina agì l’VIII corpo, preceduto dal fuoco dei grossi calibri (tra cui il terrificante obice 420 della Krupp tedesca): dopo analoghe, accanite difese, si persero le posizioni della Zugna Torta, Pozzacchio e Col Santo, mentre la resistenza si irrigidì sulla linea principale di difesa, da Coni Zugna, a Passo Buole, al Pasubio. Queste stesse località vennero in seguito ribattezzate le nuove Termopili d’Italia: fu un caposaldo incrollabile sul quale si appoggiò la nostra difesa del fronte.
Ancora peggio avvenne nel settore immediatamente ad oriente, tenuto dalla XXXV divisione; su 6 km. di fronte, col concorso dei vicini forti, si abbattè il fuoco di circa 400 batterie campali, mentre dall’altipiano di Lavarone e Folgaria, mosse all’attacco l’intero XX corpo dell’arciduca austriaco Carlo.
Furono letteralmente travolte la linea avanzata e quella retrostante sull’altipiano di Tonezza, caddero il Toraro e il Campomolon e il ripiegamento si arrestò sull’improvvisata linea del Posina. Resistette il Monte Cimone e, finalmente, la sera del 19 maggio, lo slancio austriaco iniziale subì la sua prima e sintomatica battuta d’arresto. Dall’Adige all’Astico si delineò una certa stabilità del fronte difensivo.
Tuttavia, nell’adiacente settore dell’altipiano di Asiago, che vedeva lo schieramento italiano scoperto sulla sinistra e privo di supporti a destra, l’attacco particolarmente brutale continuò.
Su 5 km. di fronte , il 20 maggio 1916, vomitarono fuoco circa 200 pezzi d’artiglieria da campagna e da montagna. Gli austriaci superarono le difese italiane, e occuparono Arsiero e Asiago. La difesa italiana costretta sull’orlo meridionale della conca di Asiago, il 29 cedette Gallio e offrì al nemico l’opportunità di scendere in Val Frenzela e tagliare la Val Sugana, nei pressi del suo sbocco in pianura.
Il 30 maggio l’Italia perse anche il Pria Forà, esponendo pericolosamente le Melette. Solo a questo punto Cadorna iniziò a pensare ad una vera ritirata, ma già il mattino successivo cambiò idea. Nelle 48 ore seguenti dimostrò certamente un estremo sangue freddo, anche mentre gli asutriaci raggiugevano pressoché incontrastati il Monte Cengio. Dopo aver silurato qualche comandante, Cadorna decise di concretizzare una controffensiva, proprio sull’intero Altopiano di Asiago.
Vale la pena riportare uno stralcio del bollettino ufficiale del Comando Supremo del 3 giugno: L’incessante azione offensiva del nemico nel Trentino fu dalle nostre truppe nettamente arrestata lungo tutta la fronte d’attacco.
Sorpreso dagli avvenimenti, ma capace di un poderoso colpo di reni, Cadorna racimolò un numero sufficiente di divisioni di riserva e costituì la miracolosa Quinta Armata che segnò concretamente la fine dell’offensiva sugli Altopiani.
Per costituire questa nuova arma d’offesa, Cadorna corse un notevole rischio: dovette infatti alleggerire le truppe dislocate sull’Isonzo, rischiando che un’offensiva nemica contingente gli strappasse di mano anche le poche e sudatissime conquiste di quel fronte. Stiamo parlando di circa 120 battaglioni che vengono spostati, in modo analogamente silenzioso, proprio come avevano fatto gli austriaci per preparare la Spedizione Punitiva. Se l’impero Austro-Ungarico avesse avuto anche il minimo sentore di ciò che stava facendo il nostro Capo di Stato Maggiore, l’Italia avrebbe probabilmente perso la guerra, incapace di sostenere un duplice e contemporaneo attacco sui due fronti.
Ma a Cadorna riuscì ad operare nella più ermetica segretezza e il 5 giugno la Quinta Armata fu schierata, pronta per sferrare il contrattacco.
La tattica di Cadorna venne attuata con l’agganciamento al centro dell’avversario, nella conca di Arsiero, e un doppio spintone sui fianchi, a destra, dall’orlo settentrionale dell’altipiano dei Sette Comuni verso la cima e la Bocchetta di Portule e, a sinistra, dalla regione del Pasubio verso il Col Santo. L’Austria si rese subito conto della minaccia e, dopo un ultimo tentativo di offesa ai danni delle difese del Lemerle e del Magnaboschi, cessò l’offensiva, con relativo importante arretramento delle linee raggiunte. In Val Magnaboschi è ancora possibile trovare il cippo commemorativo che segna il limite di avanzata massima degli austriaci, raggiunto proprio nel giugno del 1916.
In seguito al repentino arretramento, l’Austria ruppe il contatto con i nostri fanti nella notte del 25 giugno, eleggendo come linea massima di penetrazione conservabile quella che va dalla sinistra del Posina e la destra dell’Assa fino a Roana, quindi Monte Zebio e Ortigara. Dal canto suo, il generale Pecori Giraldi sospese gli attacchi, avendo avuto la giusta sensazione di trovarsi davanti ed una linea che imponeva un attento riordinamento di truppe e delle artiglierie, prima di procedere ad ulteriori azioni. Si concludeva così la prima grande battaglia difensiva dell’Italia, definitivamente maturata per la guerra di materiali, che l’avrebbe vista impegnare ingenti quantitativi di uomini, mezzi e risorse fino al termine del conflitto.

Nell’immagine, il Feldmaresciallo Konrad von Hotzendorf
Documento inserito il: 28/12/2014
  • TAG: prima guerra mondiale, altopiano asiago, strafexpedition, battaglia altipiani, conrad von hotzendorf, generale cadorna, generale roberto brusati, fronte trentino
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