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Agosto 1916: Attacco a Gorizia [ di Maury Fert ]

L'attacco contro Gorizia era stato concepito dal nostro Comando Supremo come uno sforzo di rottura necessariamente frontale preceduto da un'azione laterale a carattere difensivo, seguito dall'allargamento della breccia mediante la distruzione dei tre pilastri laterali: il Monte Santo, il San Gabriele e il San Daniele (i Tre Santi).
La difesa della Conca goriziana era infatti affidata sulla destra dell'Isonzo alle fortificazioni avanzate del Sabotino e del Podgora a est, il pianoro del Carso con il San Michele alle spalle di Gorizia e ad oriente il piccolo altopiano del Rosenthal.
Gli accessi al sistema dei Tre Santi erano interdetti dal Monte Kuk 611 di Zagora, unitamente alle creste di saldatura con la Bainsizza, mentre l'Hermada bloccava ogni avanzata verso Monfalcone e Trieste.
Fra la parte avanzata del Carso e quella sottostante all'Hermada sta il Vallone, caratteristica depressione percorsa da una strada d'arroccamento molto importante per gli austriaci. L'attacco frontale a Gorizia fu eseguito dal VI° Corpo d'Armata del Gen. Capello, mentre l'XI° fronteggiava il San Michele, l'azione secondaria venne affidata al VII° contro Monfalcone ed al XIII° contro Castelnuovo. Il II° Corpo della 2a Armata fornì il suo parco di artiglieria.
Si trattava dunque di superare con un attacco in massa i bastioni del Sabotino e del Podgora, giungere ai ponti dell'Isonzo e passarli a forza, entrare in città, oltrepassarla e occupare la linea dei Tre Santi.
Contemporaneamente dovevano essere lanciati l'attacco frontale al San Michele, l'azione contro Monfalcone, tentare l'irruzione lungo il vallone per prendere alle spalle Doberdò. In questo modo si sarebbe occupato anche tutto il pianoro del Carso.
Il piano di Cadorna fu facilitato da alcuni precedenti avvenimenti: in maggio la Strafexpedition in Trentino aveva richiamato tutte le riserve austriache disponibili dalla conca di Gorizia al mare; in giugno, sul fronte orientale l'attacco russo aveva ottenuto importanti successi e la nostra Va Armata dalla pianura vicentina era stata spostata per linee interne a Gorizia senza eccessivi problemi. Il 29 giugno l'azione austriaca coi gas venefici sul San Michele era praticamente fallita lasciando inalterate le distanze tra le due prime linee.
Il 4 agosto iniziò l'azione preparatoria: i circa 2.000 cannoni raccolti davanti a Gorizia aprirono il fuoco sui capisaldi nemici del Sabotino e del Podgora, sul San Michele furono fatte avanzare in prima linea le bombarde, arma a tiro corto e arcuato in grado di distruggere reticolati e trincee, mentre all'ala destra il 3°, il 4° e l'11° Reggimento Bersaglieri tentavano la conquista della quota 85 di Monfalcone.
Specialmente curata fu l'azione sinergica delle batterie e della fanteria, che per la prima volta avanzò protetta da una cortina di fuoco che spezzava ogni resistenza. La mattina del 6 agosto il bombardamento si intensificò. Gli austriaci in assoluta inferiorità numerica decisero di abbandonare temporaneamente le posizioni avanzate sulla linea Sabotino-Oslavia-Podgora, lasciando solo nuclei di resistenza. Le ondate italiane arrivarono con poche perdite sulla cresta: parte delle truppe iniziò il rastrellamento delle caverne e parte si rovesciò verso l'Isonzo.
Le nostre fanterie raggiunsero a sera i paesi di Peuma, Podgora, e Grafenberg, insediandosi sulla sponda del fiume. Attorno ai ponti si combattè spesso all'arma bianca perché gli austriaci lanciarono furiosi contrattacchi. La sera dell'8 la battaglia poteva dirsi conclusa.
Altrettanto vittorioso fu l'attacco al San Michele poichè il nemico non potè sostenerne la difesa coi soliti concentramenti di fuoco dalla Conca di Gorizia. San Martino del Carso cadde il 10 assieme alle quote 85 e 121 di Monfalcone. La difesa della conca di Doberdò divenne insostenibile a causa del rischio di aggiramento; agli austriaci non rimase che abbandonare il Carso ritirandosi dall'altra parte del Vallone.
Secondo la ricostruzione storica della grande battaglia, furono pattuglie della Brigata Casale ad oltrepassare l'Isonzo nel pomeriggio dell'8 agosto e fu il Ten. Aurelio Baruzzi ad innalzare per primo il tricolore sulla città di Gorizia.
Il giorno 12 riprese l'inseguimento del nemico: le Brigate Granatieri, "Lombardia" e "Catanzaro", occuparono risalendo il Vallone il Nad Logem e Oppacchiasella. Lo stesso giorno cadde il Debeli presso Monfalcone. Poi fu la volta del paese di San Grado di Merna e del Pecinka fino a che il 15 agosto la battaglia andò esaurendo le sue forze. Furono presi una trentina di cannoni, un centinaio di lanciabombe e 92 mitragliatrici. Rimanevano inviolati il Monte Santo, il San Gabriele e il San Daniele: Gorizia risultò praticamente accerchiata.
Durante tutto il mese di agosto le perdite italiane furono di circa 75.000 soldati tra morti e feriti. Solo con un altro anno di guerra, nell'agosto del 1917, si riuscì a vincere la resistenza degli austriaci sul Kuk 611, facendo cadere per aggiramento anche il Monte Santo.
La presa di Gorizia servì a togliere al nemico una testa di ponte fortificata, base operativa contro il basso Friuli, ma non si riuscì a consolidare la conquista né a sfruttarla, perché la conca goriziana fu sempre sotto il tiro dei cannoni posti sulle colline alle spalle, che avevano come bersaglio preferito i ponti sull'Isonzo, transito obbligato dei carriaggi addetti al rifornimento delle truppe italiane.
Documento inserito il: 05/02/2015

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