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Ecclesiastici e cappellani militari nella Grande Guerra [ di Maury Fert ]

Novizi, chierici, conversi, seminaristi, sacerdoti, padri e appartenenti ai diversi ordini religiosi, tutti caddero sotto la chiamata delle armi. Anzi la maggior parte di loro (circa 10.000 su 28.000) fu inserita a pieno titolo nei reparti combattenti senza distinzione di sorta dagli altri soldati.
Il clero religioso e secolare, secondo le norme in vigore ai primi del XX secolo, doveva compiere il servizio militare in tempo di pace come ogni cittadino del Regno d'Italia. Le disposizioni di mobilitazione non prevedevano il servizio religioso tra le truppe combattenti.
L'introduzione dei cappellani militari nel Regio Esercito Italiano si deve al Gen. Cadorna, che in una circolare del 12 aprile 1915 dispose l'assegnazione di cappellani militari ad ogni reggimento e corpo delle Forze Armate.
La nomina di cappellano permetteva agli ecclesiastici di evitare la condizione di preti - soldati. Numerose furono le domande appoggiate da più o meno influenti raccomandazioni che vennero periodicamente rivolte all'autorità comptenente, vale a dire al Vescovo di Campo, carica che per tutta la durata delle Grande Guerra fu ricoperta dal Vescovo Mons. Angelo Bartolomasi, che si vide riconosciuto il grado e il trattamento economico di Maggiore Generale. Ai cappellani invece fu concesso il grado di Tenente.
Secondo le più recenti stime i cappellani militari furono 2.738 operanti al fronte, di cui 742 dislocati negli ospedali territoriali, 18 nella riserva, 591 aiuto-cappellani negli ospedali territoriali e 37 in Marina.
Gli ecclesiastici militari furono invece 24.446: di essi circa 15.000 erano sacerdoti. I preti-soldati erano i seminaristi, novizi, chierici e conversi assegnati alle truppe combattenti. Chi invece era già sacerdote al momento della mobilitazione avava la possibilità di essere assegnato a reparti sanitari.
Nel corso della guerra gli ecclesiastici militari non reclutati nel corpo dei cappellani furono non meno di 22.000. Al loro interno va notata una preliminare differenziazione. Coloro che non avevano ricevuto gli ordini maggiori del sacerdozio, circa 10.000 novizi, chierici, conversi, seminaristi, non furono dalle autorità militari in alcun modo distinti dalla massa dei soldati ed assegnati indifferentemente ad unità combattenti dove, all'occorenza, erano costretti ad uccidere. Gli altri quasi sempre più anziani potevano chiedere invece la destinzione a reparti di sanità e negli ospedali, sia da campo, in zona di guerra, sia territoriali: qui erano adibiti a vari servizi anche i più umili.
La presenza di preti-soldati nel'esercito riveste caratteri notevolmente diversi da quella dei cappellani-ufficiali. Anzitutto perchè assai più dei cappelani furono vicini ai soldati, con i quali condivisero fatiche, stenti, pericoli, e verso i quali provarono non di rado sentimenti di solidarietà propri di chi aveva i medesimi problemi.
I preti-soldati proposero pertanto alle truppe un'immagine del clero in divisa diversa dai cappellani e poterono svolgere all'occasione un'azione religiosa che godeva di credibilità e di fiducia da parte dei soldati loro compagni.
Una delle caratteristiche fondamentali che differenziò alla base l'operato ed il ruolo dei cappellani da quello degli ecclesiastici, fu l'azione animata da fervente patriottismo dei primi rispetto ad una maggiore tiepidezza verso questi sentimenti manifestata dai secondi.
Come organo informativo dei cappellani militari venne creato dal settembre 1915 "Il Prete Al Campo" periodico diretto da Don Giulio De Rossi.
Documento inserito il: 04/02/2015

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