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Le dodici Battaglie dell'Isonzo [ di Maury Fert ]

La prima Battaglia dell'Isonzo, 23 giugno - 7 luglio 1915

Il piano d'attacco prevedeva dapprima azioni contro la testa di ponte di Gorizia (2a Armata col II° e IV° Corpo) e contro l'Altopiano Carsico (3a Armata) quindi in un secondo tempo contro la roccaforte di Tolmino che ancora resisteva con il IV° Corpo della 2a Armata.
Le forze italiane che presero parte alla Ia Battaglia dell'Isonzo ammontavano a 250.000 uomini opposti a 115.000 austroungarici della 5a Armata del Gen. Rohr.
Le perdite furono moltissime da entrambi gli schieramenti: ben 14.917 italiani tra morti feriti e dispersi e 10.400 austroungarici.

Dopo un mese dall'inizio ufficiale della guerra il 23 giugno 1915 il Gen. Cadorna lanciò la prima grande offensiva sul fronte dell'Isonzo ribattezzata la Prima Battaglia dell'Isonzo.
Gli obiettivi erano diversi: la 2a Armata avrebbe dovuto raggiungere il Monte Mzli e il paesino di Plava e rafforzare le proprie posizioni a nord di Gorizia mentre la 3a Armata avrebbe dovuto avanzare tra Sagrado e Monfalcone.
La prima azione venne intrapresa nella zona di Plava dove si cercò invano di conquistare quota 383 ma l'inadeguatezza della potenza di fuoco italiana contro quella austriaca era palese. Stessa sorte più a nord sul Monte Mzli dove dal 1 luglio le truppe italiane cercarono di allontanare i soldati asburgici senza alcun risultato. Alle difficoltà logistiche si aggiunse anche la forte pioggia che aveva trasformato le colline in lunghe distese di fango.
L'unico settore in cui le operazioni ottennero qualche risultato fu nella zona di Sagrado dove il cannoneggiamento italiano iniziato il 23 giugno costrinse gli austroungarici ad arretrare fino alla linea nord del Monte Sei Busi e del Monte San Michele.
Al contrario nel settore meridionale di Monfalcone gli attacchi sul Monte Cosich e sulle quote 85 e 121 procurarono gravi perdite. Dopo un incontro avvenuto il 2 luglio a Cervignano tra Cadorna e il Comandante della 3a Armata Emanuele Filiberto Duca d'Aosta furono inviati alcuni rinforzi che però non sortirono l'effetto desiderato. Nei giorni seguenti gli scontri scemarono ed il 7 luglio la battaglia si dichiarò conclusa senza nessun risultato significativo.


La seconda Battaglia dell'Isonzo, 18 luglio - 3 agosto 1915
Tra il 24 luglio e il 3 agosto l'ala sinistra della 3a Armata avanzò ancora ed ancora una volta il San Michele fu preso e perduto. Intanto l'ala sinistra si affermava sul Monte Sei Busi: il centro iniziava l'avanzata e raggiungeva e manteneva parte della conca carsica attorno a Doberdò.
In complesso con la 2a Battaglia dell'Isonzo e le conseguenti operazioni di assestamento sul Carso, la linea italiana venne sensibilmente portata in avanti fino ad appoggiarsi alle falde occidentali del Monte San Michele ed alla sommità del Monte Sei Busi e compiuto un notevole progresso ad est del Monte Nero.
La battaglia costò agli italiani circa 42.000 uomini tra morti feriti e dispersi; gli austroungarici ebbero oltre 47.000 soldati fuori combattimento.
Durante tutti i mesi di agosto e settembre furono compiute altre azioni nell'area di Plezzo e Tolmino ma alla fine di settembre la spinta italiana si esaurì per mancanza di uomini e munizioni.
L'importante risultato strategico che si riteneva possibile con queste operazioni non era stato raggiunto che parzialmente. Sospesi gli attacchi sul Carso la 3a Armata riprese il lento metodico sgretolamento delle difese avversarie stringendo sempre più da vicino il Monte San Michele.
Tra il 16 agosto e il 18 ottobre le perdite italiane furono notevoli: 191 ufficiali e circa 10.000 soldati vennero messi fuori combattimento. Per questo motivo le richieste di complementi da parte della 3a Armata continuavano a susseguirsi con frequenza e per quantitativi ingenti. Nella Nazione si dovette procedere al richiamo di altre tre classi di leva.
Il giorno in cui si concluse la Prima Battaglia dell'Isonzo si tenne a Chantilly in Francia la prima conferenza interalleata. Le autorità militari dell'Intesa analizzarono la situazione dopo un anno di guerra: il fronte occidentale era sostanzialmente immutato, mentre quello russo dopo la sconfitta delle truppe zariste a Gorlice nel sud della Polonia, si trovava in difficoltà. Si chiese perciò all'Italia di continuare con risolutezza l'offensiva sul suo fronte in modo da impegnare le truppe austroungariche e di avanzare almeno fino a Klagenfurt e a Lubiana.
Il 17 luglio la mobilitazione delle truppe fu completa e la Seconda Battaglia dell'Isonzo venne annunciata per le ore 4 del mattino successivo lungo un fronte di 36 km. Obiettivo principale era il Monte San Michele un'altura carsica a sud di Gorizia. La sommità fu raggiunta il 20 luglio ma il Gen. Borojevic capo della 5a Armata riuscì ad organizzare un contrattacco che il giorno dopo restituì la collina agli austroungarici.
Più a sud nella zona di Monfalcone la 3a Armata subì moltissime perdite nel tentativo di assaltare il Monte Cosich. Le postazioni e le armi nemiche erano ben posizionate mentre i reparti italiani non furono efficaci. Stessa sorte nella parte settentrionale di Gorizia dove gli assalti al Monte Sabotino al Calvario e a quota 383 di Plava fallirono totalmente.
Sull'Alto Isonzo la situazione era resa ancora più difficile dal clima caratterizzato da copiose piogge che sui 2000 metri del Monte Nero si trasformavano in bufere di vento ed acqua gelida.
Dopo una pausa di alcuni giorni il 14 agosto giunse l'ordine di ricominciare l'azione sul Monte Nero ed il Mzli ma dopo diversi attacchi le truppe austroungariche respinsero l'offensiva.
La Seconda Battaglia dell'Isonzo ricordata in particolare per gli scontri sul San Michele fu per l'esercito italiano il primo bagno di sangue su larga scala. Il problema principale risiedeva nel modo di condurre gli attacchi da parte degli ufficiali italiani non ancora addestrati a tattiche di guerra in trincea e alle nuove armi comparse in questo conflitto.


La terza Battaglia dell'Isonzo, 18 ottobre - 4 novembre 1915

Intanto sulla fronte Giulia si operava per la ripresa autunnale degli attacchi. Ricomposte le unità con l'incorporazione dei complementi, rinforzato lo schieramento di artiglierie, ricostituite le dotazioni di munizioni, il Comando Supremo Italiano decideva di riprendere nella seconda metà di ottobre l'azione a fondo sul fronte del Carso: scopo della nuova offensiva la riconquista della città d Gorizia, di Tolmino e delle due roccaforti montuose del Sabotino e del Podgora.
Dopo la preparazione di artiglieria che durò dal 18 al 21 ottobre, le fanterie della 2a Armata attaccarono da Plava verso Zagora ed il Monte Kuk, mentre la 3a Armata andava all'assalto del Monte San Michele e la 4a Divisione della 2a Armata svolgeva azioni impegnative contro il Sabotino ed il Podgora.
A sostegno di questa azione si mosse a fondo anche la 1a Armata nel Trentino che attaccò sulle Giudicarie e la 4a Armata che prese d'assalto il Col di Lana conquistato e perduto il 7 novembre.
Qualche vantaggio conseguì il 2°Corpo della 2a Armata verso il paese di Zagora così pure il 6°Corpo verso il Monte Calvario. Sul Carso la sinistra della 3a Armata occupò il paese di Peteano e prese e riperdette la Cima 4 del Monte San Michele. Mentre alle ali la battaglia rallentava, il centro dello schieramento italiano attaccò a fondo sul tratto del Sabotino-Oslavia-Podgora.
Oslavia fu presa e perduta, si conquistarono alcune posizioni sul Podgora, fu raggiunta ancora una volta la Cima 4 del Monte San Michele senza potervi rimanere che poche ore, fu realizzata l'occupazione del paese di Zagora e si progredì alquanto verso l'abitato di San Martino del Carso.
Il 4 novembre la battaglia scemava d'intensità su tutta la fronte d'attacco ma per il solo tempo necessario all'affluire di rinforzi e munizioni.
La città isontina soprannominata la "Nizza dell'Adriatico" negli ultimi decenni del XIX secolo sembrava un obiettivo alla portata dell'esercito italiano: se l'avanzata fosse proseguita a nord in direzione di Tolmino e a sud sul Monte San Michele, Gorizia sarebbe stata circondata e le truppe ungheresi e dalmate che si trovavano in città non avrebbero potuto far altro che arrendersi.
Il 18 ottobre 1915 iniziò così la Terza Battaglia dell'Isonzo con più di 1.300 cannoni che iniziarono a bombardare le linee austroungariche su un fronte di 50 km dalle Prealpi Giulie a Monfalcone.
I primi assalti sul Monte Mzli e sul San Michele furono positivi ma dopo poche ore i durissimi contrattacchi costrinsero i soldati italiani a retrocedere alle posizioni di partenza. Il numero dei caduti assunse i caratteri di una tragedia: in dieci giorni le perdite furono di 67.000 uomini ed alcune brigate furono letteralmente decimate (la "Catanzaro" sul Monte "San Michele" perse quasi 3.000 soldati) Stessa situazione sul Monte Calvario sul Sabotino e sulla quota 121 di Monfalcone dove tutti i tentativi di conquistare le trincee austroungariche fallirono.
L'unico piccolo risultato anche a costo di un grande sacrificio umano fu la conquista delle trincee sul Monte Sei Busi. Il 23 ottobre dopo tre giorni di battaglia la Brigata "Siena" riuscì ad impossessarsi dell'importante linea fortificata del monte. Stremata la formazione venne sostituita da un Reggimento di Bersaglieri e dalla Brigata "Sassari" le quali riuscirono a resistere al contrattacco nemico sospeso il 4 novembre.


La quarta Battaglia dell'Isonzo, 10 novembre - 2 dicembre 1915

Dopo sei giorni di relativa calma dalla fine della 3aBattaglia dell'Isonzo, i combattimenti ripresero con rinnovato vigore dando così inizio alla 4a battaglia.
La 2a Armata allargò l'occupazione verso Tolmino, le artiglierie iniziarono il bombardamento di Gorizia. Il 20 novembre fu strappata agli austrici e mantenuta quota 188 di Oslavia, fu raggiunta sul Podgora la cima del Calvario e progressi furono fatti anche sul San Michele.
La potentissima linea di difesa austriaca rinforzata durante la sosta tra agosto ed ottobre nel complesso resse bene obbligando il nostro esercito a spezzare l'azione in spinte isolate.
Le artiglierie italiane non riuscirono ad aprire la strada alle fanterie nei profondi reticolati davanti alle difese avversarie, per cui l'ultimo sforzo italiano del 1915 dovette arrestarsi.
La 3a e la 4a Battaglia dell'Isonzo costarono all'Italia 116.000 uomini messi fuori combattimento; all'Austria oltre 70.000 e 12.500 prigionieri.

Dopo le spaventose perdite subite nella 3a Battaglia dell'Isonzo, la situazione all'interno dell'esercito continuò ad essere pesante. I soldati erano ormai stanchi e demoralizzati dai continui assalti falliti in mezzo a rischi elevatissimi e le condizioni in trincea, con l'inverno alle porte, si facevano ogni giorno più disperate.
Il rancio era scarso e freddo, le mani e i piedi spesso immobilizzati e gonfi dal gelo, le uniformi sempre fradice e quando si asciugavano all'aria diventavano rigide come il legno. Ma Cadorna dal suo Comando di Udine era convinto che le truppe austroungariche di Borojevic stessero per cedere.
L'11 novembre 1915 venne perciò ordinata la ripresa degli assalti dando così inizio alla 4a Battaglia dell'Isonzo. I soldati italiani andarono all'assalto dei Monti Mzli Sabotino Calvario e San Michele ma i risultati furono nulli. L'unico piccolo avanzamento avvenne a nord di Gorizia in località Oslavia - quota 188, senza però raggiungere il vicino centro abitato di Piuma e quindi la riva destra dell'Isonzo.
A peggiorare la situazione ci pensò il Comando Supremo, che su consiglio del generale francese Joffre, decise di bombardare la città isontina. Il 18 novembre per tre ore e mezza le bocche di fuoco italiane colpirono la "Nizza Austriaca" ancora abitata dai civili e provocarono danni gravissimi. Fatto ancor più grave se si considera come questa azione non portò alcun vantaggio a livello tattico-strategico.
Nei primi giorni di dicembre gli attacchi scemarono e il 5 la 4a Battaglia dell'Isonzo venne ufficialmente sospesa.
Il 1915 si chiuse senza risultati ad esclusione dell'avanzata dei primi giorni di guerra. Il malumore già ampiamente diffuso nelle trincee iniziò a serpeggiare anche tra l'opinione pubblica che con vigore in maggio aveva sostenuto l'entrata dell'Italia in guerra.


La quinta Battaglia dell'Isonzo, 11 - 15 marzo 1916

In marzo il Comando Supremo Italiano emanava gli ordini per la ripresa delle ostilità in particolare doveva essere ripresa l'attività di logoramento delle posizioni nemiche sul fronte della 2a e 3a Armata. L'11 marzo iniziava quindi la Quinta Battaglia dell'Isonzo.
Gli obiettivi della 2a Armata erano il Mzli, il Santa Maria, il Podgora, la Cima 4 del San Michele, le trincee della Cappella Diruta e San Martino del Carso.
Le truppe schierate nel settore del Monte Rombon si trovarono nell'impossibilità di manovrare per l'abbondante neve ancora presente che le fece diventare facile bersaglio per le mitragliatrici avversarie.
Il maltempo bloccò poi le operazioni verso il Santa Maria (Tolmino). La 3a Armata venuta a mancare l'azione della 2a e con le truppe bloccate dal fango che aveva messo fuori uso molto materiale bellico, esplicò solo una forte azione di artiglieria contro gli obiettivi assegnati.
La Quinta Battaglia dell'Isonzo terminò il 15 marzo senza sostanziali modifiche in avanti del fronte. Riprendevano i lavori di consolidamento delle trincee e di approccio alla prima linea, venivano rinforzate le difese passive, soprattutto veniva migliorata la logistica per prepararsi alla grande offensiva che il Comando Supremo Italiano aveva previsto di lanciare nel luglio successivo.
L'inverno aveva momentaneamente interrotto le grandi operazioni sul fronte dell'Isonzo. I vertici militari ne approfittarono per riorganizzare i propri eserciti e concordare nuovi piani di attacco con gli alleati.
Il Comando Supremo migliorò le posizioni della 2a e della 3a Armata: le batterie furono avvicinate maggiormente al fronte sul Medio ed Alto Isonzo, le difese vennero rafforzate e lungo il Tagliamento furono previste nuove linee di ripiegamento. Inoltre nonostante l'opposizione del Ministro della Guerra Zupelli la leva venne estesa e vennero costituiti nuovi reggimenti di fanteria, di bersaglieri e di alpini destinati al fronte delle Dolomiti e del Tirolo.
A livello internazionale invece gli alleati chiesero all'Italia e alla Russia di intraprendere attacchi coordinati all'inizio della primavera in modo da alleggerire la pressione sul fronte occidentale. I progetti di Cadorna che avrebbe voluto aspettare il disgelo sul Carso vennero perciò accantonati.

L'attacco tedesco a Verdun il 21 febbraio stravolse però la fatica alleata. La Francia in grave difficoltà chiede di anticipare quanto chiesto durante le conferenze interalleate. Cadorna fu così costretto a lanciare l'11 marzo 1916 la 5a Battaglia dell'Isonzo.
Organizzata frettolosamente, gli obiettivi principali non cambiarono rispetto al 1915 così come i risultati: il Monte Calvario si rivelò ancora inespugnabile, mentre piccoli passi in avanti vennero fatti sul Sabotino e sulla linea tra il Monte Sei Busi e Monfalcone. San Martino del Carso paese sulle pendici occidentali del San Michele venne conquistato per poche ore prima di ricadere in mano al nemico che contrattaccò con gas lacrimogeni.
Più a nord attorno alla cittadina di Tolmino le condizioni climatiche erano ancora così difficili da imporre quasi subito l'interruzione delle azioni, terminate su tutto il fronte il 15 marzo, senza nessuna conquista e la perdita di 13.000 uomini.


La sesta Battaglia dell'Isonzo, (Battaglia di Gorizia) 6 - 17 agosto 1916

Dopo l'attacco austriaco col gas avvenuto sul San Michele il 29 giugno, che costò la vita a circa 3.000 uomini, le operazioni sul fronte della 3a Armata subirono un rallentamento per permettere la riorganizzazione dei reparti e l'attuazione delle misure necessarie a scongiurare altri eventi simili.
Fino alla fine di luglio non si ebbero importanti azioni: furono mantenute tutte le posizioni e potenziate le scorte di materiale e di munizioni in vista dell'azione per la conquista di Gorizia.
Il 6 agosto iniziava la Battaglia di Gorizia con il fuoco preparatorio di artiglieria. Alle ore 16 le artiglierie allungavano il tiro per proteggere le fanterie che scattavano all'assalto del Podgora e del Sabotino.
L'azione ben congegnata riuscì perfettamente e gli austriaci furono sorpresi ancora al riparo nelle caverne dalle pattuglie italiane, che si spinsero fin sulla riva destra dell'Isonzo tentando in alcuni casi il guado, ma passata la sorpresa iniziale e ricevuti rinforzi, gli austriaci bloccavano i nostri tentativi di installare una testa di ponte sulla riva sinistra del fiume e con un contrattacco recuperavano parte delle linee perdute sul Calvario.
All'imbrunire il Monte Sabotino era in mani italiane e nella linea Podgora-Calvario resistevano solo gruppi isolati di austroungarici. In pianura erano cadute la prima e la seconda linea e gli austriaci erano asserragliati nel sottopasso ferroviario di Lucinico.
Sul Carso intanto, il giorno 6 le difese austriache del San Michele erano sconvolte da un fuoco di artiglieria quale mai si era visto prima e la sera la 21a e la 22a Divisione italiana potevano conquistare tutte e quattro le cime del San Michele e respingere i forti contrattacchi avversari.
Nella zona di Gorizia il 7 agosto riprendevano le operazioni per la conquista italiana della città che venne presa il 9 agosto. Il Comando Austriaco della 5a Armata visti vani tutti i tentativi per arrestare l'avanzata italiana dava l'ordine di ritirare le truppe sulla linea già preparata a difesa alle spalle di Gorizia in attesa di ricevere rinforzi dal Tirolo.
Il Gen. Borojevic allargava l'ordine alle truppe della Piana di Doberdò temendo che un attacco della 3a Armata italiana potesse cogliere alle spalle le rimanenti forze del Carso.
Le perdite italiane nella battaglia dal 6 al 17 agosto furono di 51.232 uomini di cui 1.759 ufficiali. Gli austriaci ebbero fuori combattimento 41.835 uomini di cui 807 ufficiali.

La Battaglia di Gorizia ottenne l'effetto di convincere la Romania il 27 agosto a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali. Ciò indusse il Comando Supremo Italiano ad ordinare la ripresa del combattimento questa volta in Carso per aprire la strada da Monfalcone verso Trieste.
Terminato il pericolo della Strafexpedition, Luigi Cadorna ricominciò a rivolgere le sue strategie militari verso il fronte dell'Isonzo e più precisamente sulla città di Gorizia.
Iniziò a progettare un piano tattico con il Duca d'Aosta Emanuele Filiberto di Savoia che prevedeva un incessante bombardamento in uno spazio molto ristretto tra il Monte Calvario e il San Michele. Al bombardamento avrebbe fatto seguito un'azione che prevedeva la conquista di alcune postazioni sicure sulla riva sinistra dell'Isonzo.
A differenza delle altre battaglie nella zona della 2a Armata questa partiva con un notevole vantaggio: nella primavera di quell'anno la 4a Divisione al comando del Gen. Montuori e del Col. Badoglio era riuscita ad avanzare verso la cima del Monte Sabotino a nordest di Gorizia. I genieri lavorarono rapidamente ed in poche settimane furono costruite diverse gallerie a ridosso delle postazioni austroungariche. Nel frattempo le Divisioni della 5a Armata che erano state trasferite in Trentino nel maggio del 1916 fecero ritorno sul Carso.
All'inizio di agosto si potevano quindi contare circa 200.000 soldati che all'alba del 6 agosto 1916 dettero inizio alla Sesta Battaglia dell'Isonzo. Il bombardamento si rivelò subito efficace tanto che Borojevic richiese inutilmente rinforzi.
Cadorna alle 16 dello stesso giorno ordinò alle tre colonne della 45a Divisione di attaccare sul Monte Sabotino. In appena 38 minuti supportati dall'artiglieria pesante i soldati guidati da Badoglio e dai Generali Gagliani e De Bono, raggiunsero la vetta esaltando lo stesso Vittorio Emanuele III che seguiva l'azione da una collina delle retrovie. Gran parte dei soldati dalmati che difendevano il monte si arresero mentre gli altri si rifugiarono nelle gallerie successivamente incendiate dai soldati italiani.
Quasi contemporaneamente, alle 15.30 era iniziato anche l'attacco al Monte San Michele. Le Brigate "Catanzaro" "Brescia" e "Ferrara" riuscirono in poco tempo a raggiungere la vetta mentre gli austroungarici si ritirarono in attesa del contrattacco notturno. Questo però fallì in mancanza di riserve impegnate sul Monte Sabotino.
Il 7 agosto dopo oltre 14 mesi di guerra e un totale di 110.000 perdite tra cui 20.000 morti il Monte San Michele passò sotto il controllo dell'esercito italiano.


La settima Battaglia dell'Isonzo, 14 - 17 settembre 1916

Il 14 settembre infuriava la Settima Battaglia dell'Isonzo, ma dopo una fugace apparizione del sole che aveva convinto l'artiglieria ad iniziare il tiro di distruzione, si scatenarono forti temporali e per finire calò anche la nebbia. A sera le truppe stanche e flagellate dalla pioggia si trovavano in difficoltà ovunque per la dura reazione avversaria. Il Comando della 3a Armata ordinò la sosta sulle posizioni raggiunte, mentre l'artiglieria doveva continuare il tiro di interdizione.
All'alba del 15 di nuovo veniva diramato l'ordine di attacco: le truppe delle Brigate di Granatieri e di Fanteria "Ferrara" "Lombardia" "Napoli", i Battaglioni di Bersaglieri con in testa il 15°Reggimento, scattavano verso le posizioni austriache e a sera si erano conquistati altri 300 metri di terreno.
Il 16 e il 17 settembre la battaglia si spense. La 3a Armata aveva urtato contro una difesa nemica ben più solida del previsto, in parte sconosciuta: tra la prima e la seconda linea ve n'erano altre due munite di reticolati e magazzini di materiale bellico pronto all'uso. Gli austriaci che indietreggiavano lentamente erano sempre al riparo mentre le nostre truppe avanzanti subivano il fuoco delle mitragliatrici avversarie.
Dal 14 al 17 settembre si ebbero fuori combattimento 20.333 soldati e 811 ufficiali.

A metà settembre il Comando Supremo Italiano ordinò di iniziare una nuova offensiva sul Carso dando il via alla 7a Battaglia dell'Isonzo. Cadorna convinto che la perdita di Gorizia aveva indebolito gli uomini di Borojevic cercò di approfittare anche dell'entrata in guerra della Romania che in teoria avrebbe costretto l'Impero Austro-Ungarico a trasferire nuovi divisioni sul fronte balcanico. Invece le truppe asburgiche non erano affatto impreparate. I rinforzi specialmente quelli materiali erano arrivati in poco tempo e nessun uomo venne spostato verso il nuovo fronte rumeno.
Inoltre 20.000 prigionieri russi furono spostati dai campi di prigionia sul Carso per scavare nuove trincee e costruire appostamenti e postazioni di artiglieria. Nella zona del Vallone sorsero così 4 nuove linee difensive.
L'attacco iniziò la mattina del 14 settembre con un fitto bombardamento che distrusse la prima linea austriaca. Fu quindi il momento della fanteria: la 3a Armata guidata dal Duca d'Aosta attaccò con 100.000 uomini su un fronte di appena 8 km, ma tutti gli assalti furono costantemente respinti dalle mitragliatrici dai lanciafiamme e dai gas lacrimogeni utilizzati da 7°Corpo dell'Arciduca Giuseppe d'Asburgo. In tre giorni di battaglia non venne ottenuto nessun successo ed entrambi glischieramenti subirono perdite gravissime.
Ancora una volta nulla sembrava scalfire la tenace resistenza austriaca. In realtà all'interno dell'esercito asburgico cominciarono ad emergere le prime defezioni: i rinforzi giunti nelle ultime settimane erano composti da uomini di mezza età,: di diverse nazionalità ed etnie iniziavano a crearsi parecchie tensioni. A fare da collante rimaneva un'incrollabile disprezzo per il nemico italiano.


L'ottava Battaglia dell'Isonzo, 10 - 12 ottobre 1916

Il 10 ottobre, sempre sul Carso, iniziava l'Ottava Battaglia dell'Isonzo.
Dopo il consueto bombardamento a carattere distruttivo le brigate dei corpi d'attacco uscirono dalle trincee. A sera sul Carso in alcuni punti si erano sorpassate le posizioni austriache di poche centinaia di metri, poi le truppe erano state costrette a fermarsi sotto il fuoco nemico: lungo il fiume Vipacco erano stati conquistati dei tratti della prima linea nemica senza poter andar oltre.
L'11 ottobre riprendeva la battaglia, contemporaneamente le artiglierie italiane ed austriache iniziavano un furioso bombardamento mentre le truppe si scontravano sul campo. A sera erano stati conquistati altri tratti di trincee nemiche.
Il 12 gli austriaci tentavano una serie di contrattacchi per la riconquista delle posizioni perdute, sempre respinti con sanguinose perdite e la cattura d centinaia di prigionieri. Ciò fece sì che la battaglia cessasse per consentire il rafforzamento sulle nuove posizioni.
Dal 10 al 12 ottobre si ebbero 23.802 soldati e 782 ufficiali persi tra gli italiani e 39.800 e 813 ufficiali tra gli austriaci.

Con l'Ottava Battaglia le linea del fronte era arrivata a pochi chilometri dalle difese della città di Trieste. Gli austriaci per respingere il fronte ed avere più truppe sulle nuove linee arretrarono di alcune centinaia di metri abbandonando in pratica il Vallone di Gorizia e ritirandosi su una nuova linea che faceva perno sul Monte Santo e verso il mare si appoggiava alle colline dell'Hermada.
Pochi giorni dopo la fine della 7a Battaglia dell'Isonzo il Comando Supremo decise di proseguire l'offensiva di sfiancamento contro l'esercito austroungarico. Il 30 settembre ripresero i bombardamenti che precedevano l'azione ma furono interrotti dopo poco tempo per le avverse condizioni metereologiche. Borojevic potè così continuare ancora per qualche giorno la riorganizzazione delle difese in attesa delle due divisioni promesse da Conrad.
Dopo le abbondanti piogge il 9 ottobre riprese il bombardamento alla prima linea austroungarica. L'attacco italiano prevedeva un'azione della 3a Armata nella zona di Nova Vas un piccolo villaggio tra Doberdò del Lago e Kostanjevica e una penetrazione più a nord da parte della 2aArmata.
Il 10 ottobre l'attacco vide piccoli progressi da parte d quest'ultima, mentre gli uomini del Duca d'Aosta vennero respinti con forza. Essi raggiunsero Iamiano, un piccolo villaggio a sudest di Doberdò che non riuscirono a mantenere sotto il loro controllo. I fucilieri cechi appostati sulla quota 144 nei pressi del Lago di Pietrarossa riuscirono a respingere tutti i tentativi italiani.
Ancora una volta il numero di uomini caduti feriti o catturati in soli tre giorni di battaglia da entrambi gli eserciti fu impressionante. Sia l'Italia che l'Austria-Ungheria persero circa 25.000 uomini mentre Iamiano fu completamente rasa al suolo. Vale la pena sottolineare però come questa battaglia abbia rappresentato in teoria uno dei momenti più drammatici per l'Impero Absburgico.
Senza che Cadorna e gli Alti Comandi se ne rendessero conto la resistenza a Iamiano salvò il destino di quel fronte. I comandi austroungarici infatti dopo l'arretramento di agosto stavano ancora ripensando a come organizzare nuove linee difensive. In quei giorni un alto ufficiale mandato da Vienna in visita alla Valle del Vipacco propose di organizzare una nuova linea fortificata più indietro rispetto a prima di circa 2 km sfruttando così i labirintici percorsi di roccia e le numerose cavità naturali nei pressi del Monte Hermada. Quando i combattimenti raggiunsero Iamiano le nuove difese sull'Hermada erano ancora inadeguate e l'esercito di Casa Savoia se avesse continuato su questa strada sarebbe riuscito molto probabilmente a sfondare e proseguire verso Trieste.


La nona Battaglia dell'Isonzo, 1 - 4 novembre 1916

Il 1 novembre iniziava la Nona Battaglia dell'Isonzo con i consueti bombardamenti seguiti dall'attacco della fanteria. Verso sera l'11° Corpo d'Armata italiano aveva operato uno sfondamento del fronte nel suo settore occupando importanti posizioni sul Veliki Hribach e sul Pecinka, al contrario, il 13° Corpo d'Armata era stato fermato dalla violenta reazione avversaria.
Durante la notte l'attacco austriaco produsse un violento fuoco d'artiglieria sulle nuove posizioni del Veliki e del Pecinka tenute dalla 45a Divisione. Alle 4 le fanterie avversarie attaccavano in massa e solo la tenace resistenza della Brigata "Barletta" durata oltre 12 ore permetteva l'arrivo delle riserve salvando in pratica la situazione della 45a Divisione.
Il 2 novembre venivano conquistate nuove posizioni sull'altopiano carsico nella zona di Castagnevizza mente verso sud l'Hermada resisteva all'esercito italiano.
Per lo scarseggiare delle munizioni e considerate soddisfacenti le nuove posizioni conquistate, il Gen. Cadorna ordinava la sera del 2 la sospensione delle operazioni.
Il 3 e il 4 novembre la lotta riprendeva improvvisa per il ripiegamento degli austriaci su posizioni più arretrate, arretramento subito sfruttato dalle nostre truppe che la sera del 4 occuparono tutte le trincee del Monte Fajti.
Dal 1 al 4 novembre la 2a e la 3a Armata ebbero fuori combattimento circa 39.000 uomini gli austriaci 33.000.

Nei giorni successivi all'Ottava Battaglia dell'Isonzo i prigionieri russi ed i veterani delle milizie austroungariche proseguirono nella costruzione della nuova linea offensiva sul Monte Hermada. Il rischio corso ad inizio ottobre aveva allarmato i vertici militari asburgici: l'eventuale conquista di Trieste da parte del Regio Esercito avrebbe cambiato molte cose sul fronte isontino.
Alla fine del mese approfittando di un miglioramento delle condizioni atmosferiche gli italiani ripresero i bombardamenti verso le linee nemiche, che si intensificarono il 1 novembre nella zona di Doberdò e Oppachiasella.
La 3a Armata, con una concentrazione di 200.000 uomini in pochi chilometri, attaccò poco prima di mezzogiorno riuscendo a far arretrare gli austroungarici di alcuni chilometri. Il Dosso Fajti una collina di 430m e una delle principali alture della zona fu perso dagli uomini di Borojevic il 3 novembre, grazie all'azione della Brigata "Toscana".
Il generale austroungarico era consapevole che se l'attacco fosse continuato, lo sfondamento italiano sarebbe stato inevitabile. L'ultimo battaglione di riserva venne inviato sulla quota 464 vicino al Fajti per cercare di respingere l'avanzata dei soldati italiani sei volte più numerosi. Con una tenace resistenza la quota non fu presa e ancora una volta il fronte non cadde.
Il 4 novembre Cadorna decise di sospendere immediatamente le operazioni. I 39.000 uomini fuori combattimento erano troppi per quei pochi giorni di battaglia. Una scelta dettata anche a causa della stanchezza e del morale dei soldati che in quei giorni era piuttosto basso. Dalla fine di agosto erano stati uccisi o catturati almeno 130.000 uomini. Da più parti ormai si avevano proteste e aspre critiche sul modo di condurre la guerra e sul trattamento riservato ai soldati. Dal canto suo Cadorna rispose intensificando la censura ed infliggendo pene sempre più severe a coloro che esprimevano giudizi negativi o pessimistici sull'andamento della guerra.


La decima Battaglia dell'Isonzo, 12 - 28 maggio 1917

Alla 2a Armata venivano assegnati come obiettivi le colline alle spalle di Gorizia su cui si erano ritirati gli austriaci: erano il Monte San Marco, il Santa Caterina, il Monte Santo più a nord il Kuk, il Kobilek il Vodice. Per la 3a Armata la lotta doveva riprendere contro i Monti Stol e Hermada veri capisaldi del sistema difensivo nemico per aprire la strada verso Trieste.
Il 12 maggio alle 4 del mattino le artiglierie italiane aprono il fuoco che continuerà sino al pomeriggio del 14 (furono utilizzati 2.300 cannoni e 1.000 bombarde che in 2 giorni spararono circa 1.000.000 di colpi), quando le fanterie della 2a Armata e della zona di Gorizia iniziano l'attacco.
La lotta che con alterne vicende si protrae violentissima sino al 22 maggio porta all'ampliamento della testa di ponte di Plava, alla conquista della dorsale Kuk-Vodice, alla conquista di importanti posizioni alle spalle di Gorizia.
Particolarmente aspra fu la lotta ingaggiata dalla Brigata "Campobasso" per la conquista del Monte Santo. I due Reggimenti 229° e 230° tra il 14 e il 15 maggio ebbero fuori combattimento 1.517 uomini di truppa e 36 ufficiali.
Il 23 maggio entrano in azione sul Carso le truppe della 3a Armata. Il 28 maggio terminava la battaglia: le perdite subite ammontarono a circa 44.000 uomini fuori combattimento mentre per gli austriaci furono circa 76.000.

Durante la battaglia si palesò subito il grave problema del munizionamento: infatti nel 1917 era cresciuto il numero della artiglierie impiegate, ma il quantitativo dei proiettili giornalieri per ciascuna bocca da fuoco era rimasto quello del 1916. Ciò indusse Cadorna ad ordinare il 17 maggio che l'impiego delle artiglierie si dovesse ritenere in massima vietato su tutta la fronte ove non fossero in corso nostre azioni offensive o difensive.
Dopo i molti incontri diplomatici tra il gennaio e l'aprile del 1917 l'arrivo della primavera fece riprendere le azioni militari. Sul fronte occidentale "L'Operazione Nuvelle" fallì totalmente e la situazione nelle Fiandre non cambiò. In Italia invece cominciarono i preparativi per una nuova offensiva sull'Isonzo che si sarebbe scatenata solamente dopo essersi assicurati l'immobilità austroungarica sul fronte trentino.
La Decima Battaglia dell'Isonzo doveva essere nei piani di Cadorna, lo scontro che avrebbe permesso all'Italia di gettare le basi per la conquista di Trieste.
Per questo motivo venne preparata un'azione in grande stile che prevedeva l'attacco della 3a Armata alla LINEA TRSTELJ-MONTE HERMADA, mentre tre corpi d'armata alla guida del reintegrato Gen. Capello, avrebbero dovuto conquistare il Monte Santo e il San Gabriele, alture alle spalle di Gorizia.
L'intraprendente Capello propose una variante al piano iniziale, ovvero la creazione di una testa di ponte 10 km a nord della quota 383 nei pressi di Plava e l'attacco dei monti attraverso l'arido Altopiano di Bainsizza.
Si puntava tutto sull'effetto sorpresa: Borojevic, costretto a schierare pochi soldati, non si sarebbe mai aspettato una discesa italiana attraverso quella zona priva di qualsiasi via di comunicazione.
Il 12 maggio un fitto bombardamento verso le linee asburgiche anticipò come sempre l'imminente attacco italiano che scattò esattamente a mezzogiorno. Capello lanciò i suoi uomini contro la quota 383, che benché difesa da un solo battaglione resistette per diverse ore prima di essere occupata.
L'avanzata verso la cima successiva il Monte Kuk fu molto difficile dato l'ottimo posizionamento difensivo dei soldati austroungarici. La situazione rimase a lungo bloccata nonostante l'intervento delle batterie sul Sabotino, nascoste nelle numerose gallerie costruite l'anno precedente. Nel giro di poche ore la cima venne persa riconquista e ancora una volta persa.
Capello lanciò due battaglioni sull'Altopiano, ma questi non riuscirono a penetrare fallendo così l'aggiramento della linea Monte Kuk-Monte Vodice-Monte Santo. Vista la situazione, Cadorna decise di sospendere questo attacco, ma il Gen. Capello ancora una volta lo convinse che l'operazione era possibile. I fatti inizialmente gli dettero ragione: il 17 maggio cadde il Monte Kuk ed il 18 maggio i soldati polacchi furono costretti a lasciare la cima del Monte Vodice.
Ma proprio quando venne la volta del Monte Santo l'avanzata si fermò: i soldati italiani non riuscirono più a muoversi dalle loro nuove posizioni e gli attacchi verso l'ultimo crinale fallirono completamente.


L'undicesima battaglia dell'Isonzo. La conquista dell'Altopiano della Bainsizza, 17 / 31 agosto 1917

Dopo la Decima Battaglia gli austriaci si erano ritirati su una linea di collina che andava da Tolmino, coi Monti Santa Lucia e Santa Maria, al San Daniele - San Gabriele, appoggiandosi agli altopiani di Ternova e Bainsizza, che costituivano il terreno necessario al movimento delle loro truppe.
Il piano di azione italiano prevedeva la conquista dei due altopiani da parte della 2a Armata del Gen. Capello, mentre la 3a Armata del Duca d'Aosta doveva superare la difesa del Monte Hermada aprendosi la strada verso Trieste.
Il 17 agosto alle 6 del mattino tutti i cannoni delle due armate aprivano contemporaneamente il fuoco dal Mrzli al mare. Sull'Isonzo nei pressi di Caporetto gli italiani avevano costruito uno sbarramento artificiale per diminuire la portata del fiume e permettere il gittamento di passerelle sulle quali la notte del 19 agosto passavano le truppe del XXVII e del XXIV Corpo d'Armata.
Dopo due giorni di lotta con alterne fortune, la battaglia riprendeva vigore spostandosi verso l'Altopiano della Bainsizza ove maggiori erano i nostri successi.
Trovandosi però la testa di ponte austriaca di Tolmino e l'Altopiano di Ternova a est nordest e la battaglia in movimento verso sud i veri obiettivi si stavano allontanando. Nonostante notevoli contrattacchi austriaci l'avanzata italiana era in pieno svolgimento su tutta la linea d'attacco mentre gli austriaci non avevano più riserve per contrastare la 3a Armata verso Trieste.
Il Gen. Borojevic preso atto della situazione, ordinava il ritiro delle truppe austriache su una nuova linea difensiva alle spalle dell'Altopiano della Bainsizza. Ma il 25 agosto per gli austriaci arrivavano importanti rinforzi dalla Galizia e la battaglia entrava in una fase di esaurimento per concludersi definitivamente il 31.
L'11a Battaglia dell'Isonzo era costata agli italiani circa 144.000 uomini messi fuori combattimento tra morti feriti e dispersi mentre per gli austriaci furono 85.000. Vennero sparati circa 4.000.000 di proiettili da parte dell'artiglieria italiana e circa 2.000.000 da quella austriaca che ebbe oltre il 38% dei suoi cannoni fuori uso.
La consapevolezza da parte austriaca di non poter sostenere un altro urto italiano, spinse i comandi a chiedere aiuto all'alleato tedesco.

All'inizio di agosto Cadorna preparò una nuova offensiva sull'Isonzo che in termini numerici avrebbe dovuto essere la più grande mai vista prima. Sicuro che in Trentino non ci sarebbero stati nuovi attacchi da parte degli uomini di Carlo I, il generale spostò dodici divisioni sull'Isonzo ed attese pazientemente che le industrie italiane rifornissero di munizioni sufficienti i 3.750 cannoni e le 1.900 bombarde concentrate in un solo punto: l'Altopiano della Bainsizza. Si trattava di una novità: mai prima di allora un attacco italiano era stato previsto in un'unica zona del fronte.
Le esperienze precedenti avevano suggerito di lasciar perdere momentaneamente la linea Trstelij-Monte Hermada ben difesa dagli austroungarici e concentrare tutta l'offensiva tra Gorizia e Tolmino in modo da cogliere impreparato l'esercito di Borojevic.
Il fronte italiano disponeva in quel momento di più di mezzo milione di soldati pronti ad attaccare.
Nei primi giorni di agosto ci fu un bombardamento intensissimo tra l'altopiano e il Monte Hermada con bombe lanciate anche da batterie galleggianti allestiste a Punta Sdobba, sulla foce dell'Isonzo, e l'utilizzo massiccio dell'aviazione.
All'alba del 19 agosto iniziò l'attacco con la fanteria. La 3a Armata avanzò leggermente ad est raggiungendo le macerie del villaggio di Selo, mentre sulla Valle del Vipacco non ci fu alcun progresso. La 2a Armata si addentrò invece per svariati chilometri all'interno dell'Altopiano della Bainsizza, riuscendo a far prigionieri più di 11.000 uomini e facendo propri decine di cannoni nemici. Tutti i membri del Comando Supremo erano sorpresi dalla facilità di questa operazione.
La stessa situazione si presentò una volta arrivati ai piedi del Monte Santo il 24 agosto. In pochissimi minuti un reggimento italiano raggiunse la cima e prese così definitivamente il possesso di questa collina.
L'entusiasmo arrivò fino alle sedi dei Paesi Alleati e Lloyd George si convinse che la Grande Guerra fosse ad una svolta definitiva. Ma nei giorni seguenti quella che sembrava un'inarrestabile avanzata si interruppe bruscamente. L'Altopiano della Bainsizza dimostrò di essere un terreno molto difficile da attraversare e l'esercito impiegò diversi giorni per spostare gli armamenti pesanti. Inoltre l'ultimo obiettivo di questa operazione il Monte San Gabriele era ben presidiato dagli austroungarici.
Nei successivi 20 giorni si susseguirono diversi attacchi che costarono la vita a 25.000 soldati italiani ma la cima non fu conquistata.
Il 19 settembre fu evidente che non ci sarebbe stata più alcuna avanzata e l'offensiva venne sospesa.


La dodicesima Battaglia dell'Isonzo: Caporetto. 24 ottobre - 10 novembre 1917

Paradossalmente fu proprio la conquista dell'Altopiano della Bainsizza a creare le premesse per la tragedia di Caporetto. Infatti l'Austria fu costretta a confessare al suo alleato germanico che non sarebbe stata più in grado di resistere ad un'altra battaglia essendo ormai stremata di forze.
Le prime avvisaglie dell'interesse germanico per il fronte italiano furono determinate dal crollo russo e agevolate dall'inazione francese.
Il 24 ottobre alle 2 del mattino 15 divisioni miste austro-tedesche attaccarono nella Conca di Plezzo e Tolmino la nostra 2a Armata. Nell'arco di poche ore l'ala destra della 2a Armata cedette per evitare l'accerchiamento.
Il 25 ottobre circa 1 milione di uomini su tutto il fronte giuliano iniziò a ritirarsi verso il fiume Torre poi verso il Tagliamento per giungere al Livenza. La notte tra il 25 ed il 28 ottobre anche la 3a Armata del Carso, per non rimanere accerchiata, iniziava il ripiegamento verso il Piave ed il Grappa raggiunto il 6 novembre.
Il 7 novembre il Re destituiva il Gen. Cadorna da Comandante in Capo del Regio Esercito, nominando al suo posto il Gen. Diaz.
Il 10 novembre terminava la ritirata italiana: era costata 10.000 morti 30.000 feriti 300.000 prigionieri 350.000 sbandati e disertori. Erano stati persi 3.152 pezzi d'artiglieria, 1.732 bombarde, 3.000 mitragliatrici. Rimanevano 400.000 uomini in piena efficienza dallo Stelvio al Brenta e altri 300.000 uomini, i resti della 2a e della 3a Armata dal Brenta al mare aggrappati al Massiccio del Grappa.
Con grande sorpresa di tutti i soldati della 2a Armata, alle 2 del mattino del 24 ottobre 1917 le linee italiane tra Plezzo e Tolmino iniziarono ad essere colpite da un bombardamento senza precedenti, sia per l'intensità che per precisione. I cannoni austrogermanici erano stati puntati sulle linee retrostanti su quelle di comunicazione, sugli osservatori e sulle postazioni di artiglieria.
Per cinque ore le granate caddero in maniera incessante e distrussero gran parte delle strutture italiane. La prima linea rimase isolata e alle 7 del mattino la fanteria uscì dalle trincee. Ebbe inizio la Dodicesima Battaglia dell'Isonzo.
Gli austrogermanici si mossero simultaneamente sia da nord, nei pressi del Monte Rombon, che da sud, a Tolmino.
La prima zona era ben difesa dall'esercito italiano ma alle bombe si mischiarono anche granate a gas asfissiante che in breve tempo uccisero oltre 700 uomini della Brigata "Friuli". I superstiti ricevettero l'ordine di ripiegare lasciando così via libera verso il villaggio di Saga al Corpo d'Armata guidato dal Gen. Alfred Krauss.
A Tolmino invece, la truppe italiane furono colte totalmente impreparate: l'ordine di ripiegamento verso il vicino Altopiano di Kolovrat, ricevuto il 10 ottobre, fu trascurato per diversi giorni. Il Gen. Badoglio iniziò ad organizzarlo solo il 22 dando agli austrogermanici un notevole vantaggio.
I battaglioni tedeschi cominciarono a risalire il fondovalle verso nord incontrando sulla loro strada pochi soldati italiani i quali per mancanza di ordini ufficiali non spararono nemmeno un colpo. A mezzogiorno giunsero a Kamno e due ore più tardi alle porte di Caporetto preceduti solo dai soldati italiani che stavano frettolosamente abbandonando tutte le loro posizioni.
Alle 15.30 il ponte sull'Isonzo venne fatto saltare in aria ma ciononostante prima del tramonto i tedeschi entrarono nella cittadina insieme a duemila prigionieri italiani. Sempre quel giorno un contingente formato da Alpenkorps e da un battaglione da montagna del Wurttemberg uscì da Tolmino ed attaccò direttamente ad ovest puntando sulla Cima di Kolovrat. Anche in questo caso i bombardamenti furono devastanti e i soldati raggiunsero facilmente quota 1114 sede di una postazione fortificata italiana. Anziché ingaggiare un attacco frontale il giovane ufficiale Rommel ordinò l'aggiramento di questa postazione e il successivo avanzamento verso ovest.
Documento inserito il: 01/02/2015

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